Al MArTA di Taranto si parla di Cesare Pavese nel mito della grecitá
Omero è il riferimento ancestrale nell’opera dello scrittore dei DIALOGHI CON LEUCÓ.
Saffo è el suo canto come il viaggio nello scavo di quella archeologia dei saperi che hanno disegnato la classicità dei suoi studi e dei suoi romanzi grazie alla presenza di Vico di Eliade di Nietzsche.
Il senso tragico è un viaggiare.
Ma il tragico trova appunto nei mito una arcana empatia che è metafore dei saperi dei popoli e delle civiltà. Popoli e civiltà sono la chiave di lettura dei riti e delle Tradizioni.
Il mito è archeologia e antropologia. Interpreta l’archeologia attraverso gli strumenti di una antropologia che pone al centro la visione del labirinto, quindi di Arianna soprattutto.
Ma cosa è il mito? La poesia è il linguaggio che racconta. La favola. Un cerchio nel quale si intrecciano spazio e tempo.
La cultura contadina è parte integrante di questo processo. La grecitá è il mare. Gli dei che si dichiarino con un immaginario che supera la storia. In Pavese la storia viene superata dalla metafora.
I testi pavesiani che danno riferimento, oltre ad alcune poesie in cui il mito diventa rappresentazione, sono DIALOGHI CON LEUCÓ, IL MESTIERE DI VIVERE, IL CARCERE, I VERSI DI VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI, LA LUNA E I FALÒ, FERIE D’AGOSTO, LE LETTERE INDIRIZZATE ALLA SORELLA MARIA DURANTE IL PERIODO A BRANCALEONE CALABRO.
Se il mito supera la storia il senso del tragico ha eredità che provengono dal teatro greco. Tra i classici latini resta fondamentale Ovidio.
Ovidio e Saffo sono modelli di una LETTERATURA classica che accompagneranno tutta la sua vita e la sua opera. Sino a quel suo ultimo gesto in albergo di Torino della fine agosto del 1950.
Il suo viaggio si condensa nel mio racconto IL VIAGGIO OMERICO DI CESARE PAVESE.
Nel tragico del mito greco non c’è soltanto il teatro di una archeologia del sapere ellenico.
C’è anche la grecitá di D’Annunzio e del viaggio dannunziano in Grecia. Ci sono quei dolori di Werther di Goethe che vivranno nella nascita della tragedia di Nietzsche e, soprattutto, si fa sentire il greco di Zante o Zacinto di Foscolo con il suo Ortis in un mestiere di scrivere che è metafore del mestiere di vivere.
Pavese è lo scrittore unico di un Novecento italiano che rincorre la Grazia proprio nelle ultime pagine de “La casa in collina”. Una Grazia che non taglia il buio con il filo della luce ma resta nel bosco zambraniano ad ascoltare la notte.
Quella notte che troverà e alla quale di affiderà consegnandosi in un ultimo viaggio che gli farà scrivere: Non più parole. Un gesto soltanto. Soltanto un gesto. Non scriverò più.
Redazione