Caricamento in corso

Eduardo de Filippo. La recita inquieta della vita in teatro a 35 anni dalla morte e verso i 120 anni dalla nascita

Eduardo de Filippo. La recita inquieta della vita in teatro a 35 anni dalla morte e verso i 120 anni dalla nascita

di Pierfranco Bruni

“Voi sapete che io ho la nomina (non di senatore, per carità) che sono un orso, ho un carattere spinoso, che sfuggo… sono sfuggente. Non è vero. Se io non fossi stato sfuggente, se non fossi stato un orso, se non fossi stato uno che si mette da parte, non avrei potuto scrivere cinquantacinque commedie”, così Eduardo de Filippo.

Eduardo de Filippo personaggio sulla scena comico – tragica. In teatro diventa poesia. In poesia crea la recita e i personaggi si fanno destino. Il teatro è nella vita. Il copione è l’orizzonte dell’esistere. Eduardo de Filippo era nato il  24 maggio del  1900 a Chiara e muore  Roma il 31 ottobre del 1984. Con “Filumena Marturano” e “Napoli milionaria”  tocca l’incontro fondamentale tra cinema e teatro.  Ci prepariamo a celebrare la sua figura a 120 anni dalla nascita.

C’è  da dire che  da Luigi Pirandello a Totò si attraversa l’ironia dolorante di Eduardo de Filippo.
Teatro, poesia, lingue e cinema. Proprio sulla lingua e sui linguaggio, come Progetto Etnie del Mibact, portiamo avanti un confronto a tutto tondo sul legame tra letteratura, lingue e recita.

Una maschera oltre l’ironia. Un personaggio complesso, Totò. Un attore mai attore sul senso tout court del termine, ma personaggio che recita la vita. O meglio che lascia che la vita si rappresenti nella sua sfaccettatura con le maschere e con gli specchi. Come nel Pirandello che traccia ironia e recita sulla dimensione dell’ ironia.
Non c’è l’umorismo filosofico pirandelliano nel suo dire e nel suo essere come umorismo di sorrisi vani. L’umorismo nella ironia tragica del quotidiano, cfr. anche Petrolini, vivere è già oltre il riso – sorriso, ma è anche consapevolezza del senso inquieto del vivere.

Pirandello: “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?”. Eduardo de Filippo nasce all’interno di questo pirandelliamo soggetto di una maschera che ha lo specchio come riflesso.

Tutta una vita in teatro per eduardo: “Quand’ero piccolo amavo i vecchi, poi a un’età giovanile, non so, frequentavo i vecchi e non i giovani. Perché dai vecchi io apprendevo la saggezza, apprendevo e stavo a sentire quello che mi dicevano. E in quell’epoca i vecchi erano più altruisti”. Perché? Ecco: “Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male.“

Così come in Totò.
Intorno alla figura di Totò, al personaggio Totò, ci sono dimensioni teatrali, letterarie e chiaramente cinematografiche. Ma Totò nasce nella letteratura. Ovvero nei linguaggi e nella gestualità di un pirandelliano modello in cui sembra incrociare Ionesco e Kafka. O meglio l’assurdo e l’enigma. De Filippo è dentro questa letteratura.
È un dato letterario di non poca rilevanza sino a toccare uno scrittore italiano che è sulla linea del “gioco” fittizio e reale della vita – letteratura: Tommaso Landolfi.

È chiaro che Totò incarna la “napoletanità” nella gestualità di Eduardo Scarpetta. Ma Napoli è il centro della recita trecentesca e barocca e rivoluzionaria boccaccesca.
La napoletanità è la “bufera” della metafora nerudiana della maschera di Troisi, ma è anche l’eccezionale messa in scena del salotto Serao e delle gesta di Eduardo Scarfoglio, inquieto esploratore dei mondi sommersi e viaggiatore elettrizzante – estetizzante con D’Annunzio, che confonde la scena, la ribalta, il retroscena.

Eduardo dirà: “Napule è ‘nu paese curioso: | è ‘nu teatro antico, sempre apierto. | Ce nasce gente ca senza cuncierto | scenne p’ ‘e strate e sape recita”.

Totò, comunque, conosce l’incastro sottile e letterario che si vive tra il Pirandello della maschere muse nude e Eduardo De Filippo nel suo equilibrio di un riso terribilmente ironico inquieto.

Eduardo è lo scavo del volto in cui volto ha occhi d’anima.
Come Pirandello non è essenzialmente teatro dell’umorismo ma dell’ironia tragico, Totò rappresenta il sorridere nella consapevolezza della tragico nella solitudine delle vite. Tra Pirandello e Totò si vive una sorprendente e meticolosa riflessione sul senso della estraneità. L’effetto Eduardo. Pirandello: “La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza.

La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi”. Incisivi i versi di Totò:
“’A verità vurria sapè che simme
‘ncopp’ a sta terra e che rappresentamme:
gente e passaggio, furastiere simme;
quanno s’è fatta ll’ora ce ne jammo!”.
Credo che bisogna partire da un “ritaglio” di fondo che è quello letterario.
Non c’è uno spartiacque definito tra Pirandello De Filippo Totò e Eduardo Scarpetta. È la recita propriamente mediterranea sicula – campana alla quale aveva dato un forte contributo Giovanni Boccaccio, come già accennato, nel suo abitare luoghi e personaggi napoletani con una Fiammetta popolano. La Sicilia e Napoli si stringe intorno al teatro e ai linguaggi in una piazza – agorà che è espressione di un Mediterraneo delle culture.
Totò in fondo conosce molto bene questi ruoli e queste appartenenze e rende il tutto in una intelaiatura in cui il linguaggio e la fisicità dei gesti restano fondamentali.
Totò crea un linguaggio rompendo tutti schemi semantici. La sua è propriamente una lingua non solo popolare ma ironico -aristocratica. Può sembrare strano ciò. Ma il popolare e il nobiliare sono parte integrante di quella “livella” che è la filosofia del quotidiano. La notte deve finire eduardianamente. Ma quale notte?

Ricordo il mestiere di Eduardo: “Voglio dire che tutto ha inizio, sempre da uno stimolo emotivo: reazione a una ingiustizia, sdegno per l’ipocrisia mia ed altrui, solidarietà e simpatia umana per una persona o un gruppo di persone, ribellione contro leggi superate e anacronistiche con il mondo di oggi”

Credo che non si può prescindere da una visione letteraria in cui la lingua e il linguaggio dei gesti e delle forme sono rappresentazione di una estetica dei personaggi, del personaggio Totò e dell’uomo Antonio de Curtis.
La malinconia di Totò: “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza.”.

Totò si confrontò in modo geniale con “La patente” di Pirandello. Una grande esperienza sia cinematografica che profondamente letteraria.
Totò era nato a Napoli il 15 febbraio 1898 e morto a Roma il 15 aprile del 1967. Pirandello vive in Eduardo De Filippo e attraversa Salvatore Di Giacomo. Il Di Giacomo del pianoforte nella notte è il vocabolario che si vive nella malinconia di Totò e si attraversa proprio nella poesia di Pirandello.

Nel suo ultimo discorso a Taormina Eduardo dirà: “… è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l’ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato”.
“Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita”. Una saggezza antica per un uomo un attore una teatralità nella vita.